Mar. Ott 8th, 2024

Ci vogliono tre ore e mezza circa per raggiungere la Sila da Napoli e sono un tempo benedetto per la qualità di quello che si può vedere e, soprattutto, gustare. La tappa da noi scelta è stata Camigliatello Silano, in provincia di Cosenza, una località montana del comune di Spezzano della Sila, sulla cosiddetta Sila Grande. Si trova a 1272 metri di altitudine ed è una località turistica soprattutto d’inverno disponendo di un moderno impianto di risalita e di due piste da sci. Non essendo appassionati di sport invernali abbiamo deciso di visitarla in primavera durante le festività pasquali, approfittando di un meteo ragionevole che ci ha garantito bel tempo per la nostra breve vacanza. La prima cosa che ci colpisce è la bellezza dei paesaggi montani, una cosa che non ti aspetti perché la Calabria è sempre stata sinonimo di mare. Invece ti ritrovi un altopiano fatto di alberi, tantissimi alberi maestosi, intervallati da terreni agricoli dove si coltiva la famosa e gustosissima patata silana, ma non solo. Coltivazioni biologiche di grani antichi, ciliege, fragole e lamponi, latte di altissima qualità, che si produce da bovini ed ovini che vivono in libertà in un ambiente davvero naturale. Dal latte si ricavano i formaggi eccezionali, yogurt e ottimi gelati. Questi ultimi li abbiamo potuti apprezzare presso l’azienda agricola Scrivano che si trova nei pressi del Lago Cecita. Dall’elegante corso principale di Camigliatello, dove si possono acquistare i prodotti dell’artigianato locale, ci siamo spostati per visitare la vicina Longobucco, un piccolo borgo situato a mezz’ora di auto. Nella discesa verso il piccolissimo Comune ti sorprende la veduta panoramica, con le suggestive abitazioni, da dove spicca la Torre Campanaria, costruita nel XII secolo come torre di avvistamento e poi riadattata a campanile nel XVIII secolo. La torre si trova accanto alla Chiesa Matrice (XII secolo), dedicata a Santa Maria Assunta. Tappa obbligatoria è il “Museo della Ginestra, della Lana e della Seta”, fondato dal maestro Eugenio Celestino negli anni ’30 del secolo scorso. All’interno è documentato l’intero ciclo della trasformazione della ginestra, dalla pianta ai filati, comprendente la macerazione, la battitura, la sfilettatura, la cardatura, la filatura, la tintura e la tessitura. Sono, inoltre, esposti antichi tessuti, arazzi, copriletti e tappeti. Qui è possibile conoscere la storia della tessitura di Longobucco. Attraverso le immagini del passato, possono essere ammirati autentici pezzi storici di straordinario interesse e dall’indiscutibile fascino. La tradizione del fondatore Eugenio viene poi raccolta dal figlio, il cav. Mario Celestino che attualmente porta avanti l’attività insieme alla moglie Gina ed ai figli Eugenio e Barbara.

Un tuffo nella gastronomia silana lo abbiamo fatto durante una cena a Camigliatello al “Mercato Falcone”. Situato nel vecchio Consorzio Agrario della Sila, questo ristorante, nato da un’idea di Arturo Falcone, si presenta come un mercato coperto nello stile di quelli madrileni dove è possibile degustare il meglio che la Sila offre: dalla pasta alla carne, dai salumi ai formaggi, dal vino alla birra artigianale, offrendo un servizio che ti fa apprezzare la grande ospitalità dei silani.
Ma ciò che è ci è rimasto davvero nel cuore è il tour fatto a “I Giganti della Sila” situati in località a Croce di Magara. Affidato nel 2016, in concessione, al FAI (Fondo per l’Ambiente italiano), dal Parco Nazionale della Sila, questo maestoso bosco secolare sopravvive intatto all’ombra dei suoi imponenti “patriarchi”, che danno origine ad un grandioso spettacolo della natura. Sull’altopiano della Sila si conservano alberi alti fino a 45 metri, dal tronco largo 2 e dall’età straordinaria di 350 anni, testimoni delle antiche selve silane. Infatti, il toponimo “Sila” deriva dal latino “silva”, ossia “selva”. Un bosco ultracentenario con oltre 60 esemplari di pini larici e aceri montani piantati nel Seicento dai Baroni Mollo, proprietari napoletani del vicino Casino, anch’esso poi donato al FAI ed al momento oggetto di lavori di restauro. La selva fu sfruttata nei secoli dai pastori per estrarre dai tronchi una resina infiammabile come la pece, una risorsa preziosa che tra Seicento e Settecento fu oggetto di numerosi provvedimenti del governo di Napoli, emessi per limitare le frequenti minacce di abbattimento. Nel dopoguerra gran parte dei boschi silani servirono per pagare i debiti di guerra agli Alleati. C’è chi racconta che mezza Manhattan sia stata costruita grazie agli alberi della Sila. Dobbiamo dire grazie a Paola Manes, la baronessa Mollo, che per salvare questo bosco dagli assalti dei contadini e dei boscaioli si incatenò, per protesta, ad un albero ed in seguito promosse l’istituzione dell’attuale Riserva Naturale. Passeggiare in mezzo a questo prodigio della natura non ha davvero prezzo. Bravissime le guide del FAI, tra cui Simona Lo Bianco, che ne garantiscono l’apertura al pubblico. Lungo i sentieri ci si sente a contatto con la quiete della Natura, in una sorta di parco magico dove alcuni tronchi caduti prendono le sembianze di dinosauri ed altri si abbracciano tra di loro. Sorprende, dà le vertigini, risuona di fruscii, strepitii, il bosco respira proprio come un essere che vive.

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