Ven. Mar 29th, 2024

 

25 aprile, liberazione e…alimentazione…ma da cosa si liberavano gli italiani? Da una dittatura che li aveva portati in guerra anche acuendo condizioni di fame già abbastanza diffuse…

L’alimentazione degli italiani sotto il fascismo iniziò ad essere scarsa ben prima delle abbastanza limitate sanzioni economiche  da parte della Società delle Nazioni alla fine del ’35 in seguito all’aggressione italiana all’Etiopia. Il “problema dei problemi ” alimentari cominciò dal pane, elemento base della dieta nazionale. Con la cosiddetta “battaglia del grano” l’incremento della produttività  di frumento risultò insufficiente e concentrato al Nord, tanto che nel Sud si ricorreva abitualmente a surrogati della farina di frumento; il pane era prodotto di farina di lenticchie, d’orzo e di….. cicerchie. Il pane bianco era privilegio di pochissimi e la propaganda si affrettò a infangarlo…ma campeggiava di nascosto sulle tavole di chi poteva…..

Nero e poco , il pane degli anni ’30 era  pure salato, nel senso che era carissimo in rapporto ai salari, almeno 10 volte rispetto ad ora. Anche la pasta era insufficiente e, per limitare le importazioni di frumento, venne incoraggiato il consumo di riso che, invece, era in eccedenza, grazie al lavoro drammatico delle mondine. La propaganda fascista condusse una violenta quanto assurda campagna contro spaghetti e maccheroni, che a Napoli provocò cortei popolari di protesta, visto che nella ex capitale borbonica di rado era mancato il piatto di pasta… l’autarchia entrò quindi  in cucina, inventando surrogati ed eliminando pietanze ormai introvabili. La dieta a base di pasta fu persino violentemente contestata dal futurismo di Marinetti, a servizio della propaganda che la giudicarono inidonea ad un popolo “guerriero”. Con l’entrata in guerra fu introdotto il razionamento e le donne italiane, costrette a tripli salti mortali, trovarono ricette per riciclare bucce e torsoli di mele, gambi di prezzemolo e di cavolfiore, crema senza uova, la marmellata senza zucchero, l’insalata senz’olio e le costolette senza carne, mentre la farina di castagne era contrabbandata ai più piccoli come cioccolato. Il caffè  era bandito, ma comunque dopo il ’40 era introvabile e impazzavano le pubblicità per sostituire il caffè odiato con la camomilla ………ovviamente prodotto interamente italiano.

Nel’ìItalia  del ’43 venne a mancare anche la frutta del sud, l’agricoltura pur avendo a disposizione una terra fantastica e ubertosa era condotta con mezzi arcaici anche per quel tempo, la distribuzione faceva spesso flop.  Nei ristoranti e nelle trattorie, che lo stato di guerra aveva  ormai classificato come  mense popolari si serviva il “rancio unico” (minestra, verdura, frutta) piselli.  Dal ’43 in tante città italiane lo sciopero del pane era diventato una costante, ribellioni, assalti alle panetterie, insubordinazioni, la fame era realtà e le tessere annonarie non erano che un tamponare inutile e faticoso. Allevamenti ovviamente con armenti smunti, smagriti, macellati per fame da sbandati o razziati violentemente dai tedeschi, come accadde nell’alto casertano nell’autunno del ’43 dove nascondere un maiale poteva significare la morte. Insomma Il 25 aprile è anche la data in cui gli italiani hanno ricominciato il percorso che li riportò  a mangiare, grazie a libertà e democrazia. Un bel lavoro per approfondire queste tematiche è il sito sviluppato con il contributo di regione Emilia Romagna https://guerrainfame.it/secondaguerra

Carlo Scatozza

 

Di Carlo Scatozza

redattore di Campania Slow | Contatto Facebook: http://it-it.facebook.com/people/Carlo-Scatozza/1654720386

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